STANZE
“Un giorno la Paura bussò alla porta. La Fede andò ad aprire e vide che fuori non c’era nessuno.”
(Martin Luther King)
“In questo albergo immenso, lussuoso, barocco, lugubre. Dove corridoi senza fine succedono ad altri corridoi, silenziosi, deserti, gelidamente decorati da intarsi in legno… In sale silenziose in cui i passi di colui che le attraversa sono assorbiti da tappeti così pesanti, così spessi, che nessun rumore di passi arriva alle sue orecchie. Come se persino le orecchie di chi cammina, ancora una volta, lungo questi corridoi, attraverso questi saloni, queste gallerie, in questo palazzo d’altri tempi, in questo albergo immenso, lussuoso, lugubre. Dove corridoi senza fine succedono ad altri corridoi…”
(dal film L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais)
È una mappa che raffigura una lunghissima costruzione inesistente, risultante dalla ripetizione speculare della pianta di un edificio reale. Ciò che prima era esterno all’edificio ora risulta interno. È una mappa sbagliata ma in fondo questo è irrilevante.
Il ruolo della memoria e delle mappe
Si consideri la funzione della memoria naturale, intesa come la gran parte delle operazioni psichiche che avvengono al di fuori del controllo della coscienza. Si noterà che “ricordare” non corrisponde a recuperare immagini statiche immagazzinate, né corrisponde a rivivere tutti i dettagli di un dato evento. Quando si rievoca un ricordo, si recuperano frammenti del passato, riempiendo i vuoti con aspettative e desideri personali. Quindi ricordare vuol dire inventare, ricostruire dinamicamente un’esperienza in un nuovo contesto, rimaneggiando di continuo mappe neuronali, rielaborando, ricatalogando, operando una continua risignificazione. Il ricordo non è, perciò, la semplice ripetizione di una esperienza passata ma la ricostruzione di una fantasia, secondo procedure non dissimili da quelle dell’ immaginazione.
L’immaginazione – nel senso di previsioni e programmi – si dispiega come un’ininterrotta narrazione di potenzialità future che originano da eventi passati. Il confronto tra scenari ricordati e scenari immaginati, tra esperienze vissute e obiettivi prefigurati, tra le emozioni ed i sentimenti che ad essi si accompagnano, guiderà la scelta delle decisioni future. In questo senso la memoria è un vero e proprio strumento di orientamento per qualsiasi labirinto dell’attività quotidiana. Anche quando si cammina in un contesto urbano, per decidere quale strada scegliere, il cervello recupera dei ricordi che consentono di simulare il futuro in base alle esperienze passate.
Quando si richiama alla memoria un dato, è sufficiente presentare una piccola parte affinché l’intero schema venga ricostruito. Ciò accade perché non memorizziamo i dati come fossero fotografie, ma attraverso associazioni. Anche quando non tutte le informazioni vengono richiamate, si ottiene comunque un’immagine intera, sebbene sfocata. Il ruolo fondamentale dell’associazione ai fini mnemonici ci viene confermato da Calvino attraverso una descrizione della città di Zora ne Le città invisibili:
“Al di là di sei fiumi e tre catene di montagne sorge Zora, città che chi l’ha vista una volta non può più dimenticare. Ma non perché essa lasci come altre città memorabili un’immagine fuor del comune nei ricordi. Zora ha la proprietà di restare nella memoria punto per punto, nella successione delle vie, e delle case lungo le vie, e delle porte e delle finestre nelle case, pur non mostrando in esse bellezze o rarità particolari. Il suo segreto è il modo in cui la vista scorre su figure che si succedono come in una partitura musicale nella quale non si può cambiare o spostare una sola nota… Questa città che non si cancella dalla mente e come un’armatura o un reticolo nelle cui caselle ognuno può disporre le cose che vuole ricordare: nomi di uomini illustri, virtù, numeri, classificazioni vegetali e minerali, date di battaglie, costellazioni, parti del discorso. Tra ogni nozione e ogni punto dell’itinerario potrà stabilire un nesso d’affinità o di contrasto che serva da richiamo istantaneo alla memoria. Cosicché gli uomini più sapienti del mondo sono quelli che sanno a mente Zora. Ma inutilmente mi sono messo in viaggio per visitare la città: obbligata a restare immobile e uguale a se stessa per essere meglio ricordata, Zora languì, si disfece e scomparve. La Terra l’ha dimenticata.” 1
Le vie del proprio paese d’origine o di una città che si conosce bene, sono un ottimo punto di partenza per collocare dati che si vogliono ricordare. È ciò che faceva il signor Shereshevskji, paziente dello psicologo russo Alexandr R. Lurija, e dotato naturalmente di una prodigiosa memoria. Applicava spontaneamente e in maniera del tutto inconsapevole quelle regole mnemoniche classiche che erano state fissate da una millenaria tradizione. Convertiva infatti gli stimoli sensoriali ricevuti in immagini mentali, che collocava in un luogo fisico ben conosciuto, ad esempio la città di Mosca. Poteva accadere che non ricordasse un’informazione ma ciò succedeva quando aveva accidentalmente situato un’immagine in un luogo mentale poco luminoso, o con un colore dominante troppo simile all’oggetto da ricordare, causandone la mimetizzazione o rendendolo piuttosto confuso. L’apparente errore di memoria, era in realtà un errore di percezione. Il signor Š. seguiva le regole classiche dell’arte della memoria, già conosciute ai tempi di Cicerone, che nel De Oratore racconta la la leggenda di Simonide di Ceo, sfuggito miracolosamente al crollo di una sala in cui si trovava a banchettare con altri invitati. Simonide identificò i corpi dei vari commensali, resi irriconoscibili dalle ferite, ricordandosi del posto che occupavano a tavola.
“Egli [Simonide], pertanto, a quanti esercitino questa facoltà dello spirito, consiglia di fissare nel cervello dei luoghi e di disporvi quindi le immagini delle cose che vogliono ricordare. Con questo sistema l’ordine dei luoghi conserverà l’ordine delle idee, le immagini delle cose richiameranno le cose stesse, i luoghi fungeranno da tavolette per scriverci sopra e le immagini serviranno da lettere con cui scrivere.2.
“Ben vide Simonide o chiunque ne sia stato l’inventore che le impressioni trasmesse dai nostri sensi rimangono scolpite nelle nostre menti e che di tutti i sensi il più acuto è quello della vista. Per cui dedusse che la memoria conserva molto più facilmente il possesso di quanto si ascolta o si pensa quando le loro sensazioni entrano nel cervello con l’aiuto della vista. In questo modo la rappresentazione con immagini e simboli concretizza le cose astratte ed invisibili con tanta efficacia, che riusciamo quasi a vedere realmente mediante immagini concrete quel che non siano capaci di percepire col pensiero.3
Questo sistema mnemonico è analogo alla cosiddetta tecnica dei loci o palazzo della memoria, che consiste nel memorizzare un edificio architettonico, o una parte di esso, e situarvi in modo immaginario le informazioni che si desidera ricordare. In questo modo si può percorrere la serie degli oggetti cui sono associate le nozioni, in modo immersivo e quasi fisico, immaginandosi all’interno di uno spazio in cuiaggirarsi e muoversi avanti o indietro alla ricerca degli oggetti ricordanti di cui abbiamo bisogno. Due sono gli elementi di base: il locus, un luogo fisico facilmente memorizzabile, e le imagines, simboli di ciò che occorre ricordare.
I loci devono essere di modeste dimensioni, mediamente illuminati, nettamente distinguibili l’uno dall’altro. Tra le caratteristiche peculiari di questo metodo vi è la possibilità di riutilizzare più volte lo stesso sistema di luoghi ma anche, di conseguenza, la necessità di eliminare di volta in volta i contenuti precedentemente inseriti. Si possono considerare come attuali lavagne su cui scrivere, cancellare e riscrivere altre informazioni a disposizione.
Norme codificate sono date anche per le imagines, ma caratteristica di massima importanza affinché siano efficaci è la loro carica emotiva, che le rende imagines agentes. Suscitano una forte emozione e così si fissano nella memoria in modo saldo.
Altra tipologia di mnemotecnica è il tipo ‘a stanze sovrapposte’. Si crea un sistema di loci costituito da due stanze sovrapposte, le cui pareti, compreso il pavimento e il soffitto, siano suddivise in 9 riquadri ciascuna, di uguali dimensioni, in modo da ottenere 100 loci sui 12 muri disponibili (escludendo 4 riquadri dal soffitto di entrambe le stanze). In questo sistema di 100 luoghi verranno collocate 100 figure che fungeranno da imagines agentes a cui collegare le nozioni da ricordare.
Dato che in entrambi i metodi è previsto che il soggetto si localizzi nell’ambiente e che collochi gli oggetti nel contesto spaziale, possiamo affermare che la memoria dei luoghi dipende da due fattori: dalla conoscenza spaziale, cioè dalla codifica delle informazioni di posizione, orientamento e direzione, e dalla precisione della rappresentazione del luogo in cui ci si vuole muovere. La mappa del luogo, per essere precisa e utile, deve contenere tutte e soltanto le informazioni necessarie. Se la mappa riproduce tutti i particolari, è praticamente inutilizzabile.
Questo è vero a livello teorico ma nella pratica funzionano anche le mappe sbagliate perché ciò che conta davvero quando si è nel labirinto, è voler uscire, mettersi in azione e aver fede. A prescindere dalle informazioni, sono importanti la fiducia in esse e il loro uso prolungato come punto di riferimento. Tali aspetti permettono che le persone agiscano con maggiore intensità e positività. A testimonianza di ciò è interessante un episodio, riportato dal premio Nobel ungherese Albert Szent-Györgyi e conservato in una poesia di Holub ( 1977), che si verificò durante le manovre militari in Svizzera: il giovane tenente di un piccolo distaccamento ungherese nelle Alpi inviò un’unità di ricognizione nella desolata terra di ghiaccio. Immediatamente prese a nevicare e continuò per due giorni: l’unità non tornava. Il tenente soffriva, temendo di aver spedito i suoi uomini incontro alla morte. Ma al terzo giorno l’unità rientrò. Dove erano stati? Come avevano ritrovato la strada? Si consideravano persi e aspettavano la fine. Ma poi uno di loro trovò in tasca una mappa. Questo li tranquillizzò. Si accamparono, lasciarono passare la tempesta di neve, e poi con l’aiuto della mappa riuscirono ad orientarsi. Il tenente chiese in prestito questa straordinaria mappa e la esaminò attentamente. Scoprì con grande stupore che non si trattava di una mappa delle Alpi, ma dei Pirenei.
Quando ti trovi perso, qualsiasi mappa può andar bene perché ciò che conta è il processo di azione ed esplorazione che si mette in moto. Le informazioni che i soldati selezionarono e su cui continuarono ad agire erano atti di fede in mezzo all’indeterminatezza. L’avere una mappa, consentì loro di raccogliere indizi e tracce, organizzarli via via in modo sempre più adeguato, e ciò permise loro, dispersi nella bufera di neve, di far ritorno alla base. (derive situazioniste-affrontare una città con la mappa di un’altra)
La conoscenza e le nostre mappe mentali non sono di per sé sufficienti ad orientare l’azione, ma servono piuttosto come occasione per avviarla. Ciò che produce davvero un buon risultato, anche a partire da una mappa sbagliata, è l’avere uno scopo e possedere un’immagine di dove ci si trovava in partenza e dove si desidera essere.