TEMPO
“Ancora pochi secondi e si concluderà per sempre… – in un passato di marmo – … guardando verso la soglia di questo giardino…”
( dal film L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais)
Il tempo è solo un modo di misurare le cose. Se non c’è nulla che si muove, non c’è tempo.
Il tempo-labirinto
Il” labirinto, sin dai primissimi esempi, fisicamente non è altro che tempo trasformato in spazio”, dice Attali, e prosegue, “nelle clessidre, labirinti d’acqua, negli incensieri, labirinti di fumo, il tempo si misurava già come spazio. Il labirinto è simmetrico alla clessidra: l’uno, è tempo nello spazio; l’altra, spazio nel tempo. Come la clessidra, il labirinto esige un’andata e un ritorno. Come il labirinto, la clessidra è misura infinita del tempo in uno spazio chiuso.”1
Il tempo non scorre, ma si dispiega nello spazio con andate e ritorni, circonvoluzioni, spirali, vicinanze fisiche lontane temporalmente e distanze fisiche in prossimità temporali. Ciò si comprende bene se si osserva il dispiegarsi di un percorso, che richiede un tempo, in un labirinto fisico, che richiede uno spazio. Immaginiamo ad esempio, di percorrere il labirinto che si trova sul pavimento della cattedrale gotica di Chartres, in Francia.
Appena partito, la Via ci porta subito vicinissimo alla meta. Ci sembra di essere già arrivati, basta fare un salto e siamo al centro del labirinto. Ma il salto è impossibile. Dobbiamo seguire la Via.
La Via ora si allontana un po’ dal centro. Ciò che sembrava conquistato, è perso.
La Via ci porta nuovamente a sfiorare la meta. Crediamo di essere quasi arrivati. Ma ancora una volta non possiamo entrare nel cerchio centrale.
La Via ci mantiene lontano dalla meta.
Abbiamo camminato abbastanza. Improvvisamente, la Via ci conduce facilmente al centro con un tratto rettilineo, che ha solo una piccola deviazione a metà. Passata questa, arriviamo dritti al centro.
Il concetto di vicinanza all’obiettivo non equivale spazialmente e temporalmente.
È chiaro che il tempo non esiste senza movimento. Possiamo dire che il tempo è una proprietà del movimento, colta dalla mente umana che calcola il numero di istanti che intercorrono tra i due momenti distinti del prima e del poi. Parliamo di tempo quando c’è una coscienza capace di avvertire che, l’oggetto che prima era a destra, ora si trova a sinistra e di quantificare, secondo un’unità di misura, la durata intercorsa tra la configurazione spaziale A e la configurazione B. Noi ci preoccupiamo moltissimo di questo intervallo necessario al cambiamento, lo misuriamo di continuo, cerchiamo di abbreviarlo il più possibile, spesso affannandoci tanto per nulla. Più è breve l’intervallo del cambiamento, più ci riteniamo produttivi ma perdiamo di vista sempre più frequentemente l’obiettivo per cui ci stiamo adoperando. Prendere coscienza del nostro labirinto, ci riporta a riflettere sulla nostra dimensione umana più profonda. Stiamo camminando? Per cosa stiamo camminando? Cosa è importante? Come stiamo camminando?
Per uscire dal labirinto è necessario un approccio al tempo diverso da quello a cui siamo abituati. “Il labirinto rimanda ad un tempo che prende tempo, che si espande, che ritorna sui suoi passi, erra e si perde. Nega l’urgenza. Permette la maturazione di un’idea con un gioco di esitazioni e ritorni. Perseverando non perdiamo tempo; se riflettiamo prima di agire ne guadagniamo.”2, scrive Attali. È necessario spendere il tempo, viverlo, investirlo; è necessario uno spazio percorso da cima a fondo, come nel labirinto di Chartres.
Questo approccio al tempo è quello del nomade, che nella vita non cerca di economizzare il tempo, ma di riempirlo nel modo migliore, di progredire in durata e in intensità. Il nomade, il primitivo, vive in un presente atemporale: non conserva memoria del passato, che per lui è irreale né si proietta con attesa verso il futuro, che al contrario avverte come incerto e minaccioso. Per lui, ciò che accade, è fuori dalla preoccupazione del tempo, che non corre linearmente e unidirezionalmente. Il tempo del primitivo è quello dell’esperienza interiore.
Nel cinema, tanti sono stati i modi di raccontare la dimensione labirintica del tempo, di descrivere questa sfuggente e particolare proprietà della realtà che percepiamo. Di seguito citerò alcuni film, ponendo l’attenzione sulla forma del tempo data alla narrazione.
L’anno scorso a Marienbad.
Un uomo incontra una donna, in un grande albergo. Le racconta che l’anno precedente si erano conosciuti a Marienbad, si erano innamorati, e lei, sposata, gli aveva detto di tornare l’anno dopo, per fuggire via insieme. La donna non ricorda o finge di non ricordare. Seguirà un conflitto, tra i ricordi di lui e quelli di lei. La vicenda sembra ripetersi nel tempo e sarà impossibile discernere tra il presente e il passato, il reale e l’immaginato.
Un aspetto essenziale della pellicola è la perdita di un centro fisso di riferimento. Non si riesce ad individuare un soggetto che agisce in un corso di eventi, si assiste ad una continua differenziazione di un singolo evento, a diverse possibilità dello stesso. Sembra che non accada nulla, esiste solo un’atmosfera di costante sospensione e attesa. I due personaggi sono costantemente sulla soglia, dove non ci sono limiti né fatti ma solo possibilità, e queste possono essere riferite a eventualità esistenziali, all’immaginazione o al ricordo
La dimensione temporale non è lineare, è frammentata e molteplice. Il tempo non si struttura come susseguirsi di eventi consecutivi, ma si manifesta secondo una forma aperta che esprime diverse possibilità di un singolo fatto. Questa molteplicità di modi possibili, è mostrata chiaramente dal modello matematico degli spazi di Riemann. .
La posizione del protagonista, dell’uomo, è esattamente quella del viandante che di fronte al bivio è fermo, e in quella stasi c’è un’infinità di eventi possibili, c’è anche il volgersi a guardare eventi passati e il proiettarsi in immaginari scenari futuri. È sostanzialmente la sfida del labirinto, che viene rimarcato e citato più volte e in più modi nel film, attraverso enunciati, luoghi fisici in cui si svolgono le azioni, luoghi rappresentati e infine, ma non ultimo, nella struttura stessa del tempo.
Interstellar
Nel nostro sistema solare non ci sono pianeti in grado di sostenere la vita, così l’umanità deve cercare altrove , in un’altra galassia. Ci potrebbero volere centinaia di migliaia di anni, ma c’è un wormhole vicino Saturno, cioè una scorciatoia. Gli abitanti della Terra vi hanno già spedito delle persone per attraversarlo. Il protagonista Cooper, ingegnere ed ex-pilota della NASA, ed il suo equipaggio hanno il compito di trovare un altro pianeta da abitare. Dopo varie dilatazioni temporali e disastri, Cooper finisce dentro il buco nero conosciuto come Gargantua e, sopravvissuto alla fortissima attrazione gravitazionale, si ritrova in un tesseratto: un cubo quadrimensionale di un infinito spazio a cinque dimensioni, creato per l’occasione da esseri superiori. In questo ‘non-luogo’, Cooper riesce a controllare e a modificare il tempo e lo spazio. Si scopre allora che Cooper risulta essere il ‘fantasma’ che comunicava (all’inizio del film) con la piccola figlia Murphy nella sua camera. Cooper riesce a trasmettere a Murphy adulta i dati quantistici per risolvere le equazioni gravitazionali. L’umanità è stata salvata.
Quando Cooper è dentro Gargantua, egli è simultaneamente nel futuro, per salvare l’umanità, e nel passato, per seguire le sue stesse istruzioni (le coordinate per raggiungere la sede segreta della NASA). Niente di sconvolgente poiché da Einstein in poi, a causa della relatività generale, sappiamo che il nostro ‘adesso’ dipende da dove siamo nell’universo e da come ci muoviamo.
La questione vera è chi ha messo il wormhole vicino Saturno per consentire questa esplorazione interstellare. Secondo gli scienziati, è opera degli esseri umani del futuro, esseri penta-dimensionali che intendono aiutare il genere umano. Ma questa civiltà avanzata diverrà possibile solo se Cooper troverà le informazioni all’interno di Gargantua. È un loop.
l tempo in Interstellar è un curva chiusa, è un cerchio piatto: gli eventi non possono accadere l’uno senza l’altro e non hanno un rapporto di consequenzialità lineare progressiva, come siamo abituati a pensarli. Entrare in una curva chiusa di tempo domani significa che si potrebbe tornare a oggi.
La jetée
In una futura era postatomica, nei sotterranei di una città, forse ancora radioattiva, alcuni scienziati sperimentano il viaggio nel tempo, spedendo cavie nel passato con la speranza di recuperare risorse utili alla sopravvivenza del genere umano. Si imbattono in un uomo ossessionato dal ricordo di una donna. Gli scienziati riescono a far tornare l’uomo sul luogo dell’incontro e lì lui conoscerà la donna. Egli tornerà più e più volte a trovarla nel passato.
Il passato, il presente e il futuro si intrecciano e si mescolano nella dimensione temporale interiore del protagonista, fino a raggiungere il puro ed eterno presente. È la coesistenza del passato di pace della donna e del futuro apocalittico dell’uomo a generare l’annullamento totale del tempo: i due vivono questo rapporto nel sogno di lui e il tempo del sogno diventa il tempo della vita.
Shining
Uno scrittore in crisi creativa, Jack Torrance, decide di fare il custode invernale dell’Overlook Hotel per avere la pace e la calma di cui ha bisogno per scrivere un nuovo romanzo. Porta con sé la moglie Wendy e il figlio Danny. Jack, influenzato dall’aura negativa dell’Hotel, viene spinto a macellare entrambi. È la sua prima volta in quel luogo, o è un ritorno? La risposta si trova nel modo in cui nella pellicola è strutturato il tempo, nella modalità in cui esso si trasforma fino a stabilizzarsi di nuovo. Gli eventi messi in moto all’inizio, precipitano fino ad un’implosione finale.
La dimensione temporale si muove dapprima in senso progressivo seguendo una linea retta. Pian piano aumentano le visioni di Danny e Jack, e, con queste, una quantità sempre maggiore di passato investe il presente e rallenta il ritmo del tempo. Si ha un restringimento dello spazio-tempo fino ad un punto preciso: il momento in cui Jack muore assiderato nel ghiaccio del labirinto. Nello stesso momento raggiunge il tempo assoluto, fuori dalla storia, mostrato in una foto in bianco e nero. La conclusione del film coincide, infatti, proprio con la rivelazione dell’eterno, sovrapponendo e condensando passato e presente: la telecamera gira per l’Hotel e si ferma davanti ad una foto di una festa degli anni ’20 in cui è ritratto Jack, come se fosse sempre stato parte dell’albergo.
“Mostrandoci dei tableau vivants, dei quadri animati in cui l’azione è immobilizzata; fermando dunque lo scorrere della temporalità cinematografica: e più in generale, cogliendo ogni occasione per mostrarci immagini ferme quali dipinti o fotografie […]. Nel fare tutto questo Kubrick ci mette in grado di guardare il tempo, di osservare un tempo tramutato in forma spaziale e sincronica, esperienza che solo un quadro o una fotografia possono offrire. Si tratta […] del tempo spazializzato e dunque reso plurale, sincronico, labirintico. “3scrive R. Eugeni.
Sostanzialmente il film di Kubrick è un viaggio nella mente umana, vista come un labirinto i cui processi cognitivi sono misteriosi (la luccicanza) e facilmente forzabili (l’influenza del luogo sulla psiche). Lo aveva già notato Gilles Deleuze: “Il cervello domina il corpo che è solo una sua escrescenza, ma anche il corpo domina il cervello che è solo una sua parte. (…). Se si considera l’opera di Kubrick, si vede a che punto è il cervello ad essere messo in scena. Gli atteggiamenti del corpo giungono alla massima violenza, ma dipendono dal cervello. In Kubrick infatti il mondo stesso è un cervello, vi è identità tra cervello e mondo”4E prosegue “il mondo-cervello è strettamente inseparabile dalle forze di morte”4